18 sentenze fondamentali che devi conoscere per lavorare in sicurezza

Vuoi sapere come applicare al meglio la normativa sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro al fine di ridurre drasticamente infortuni e malattie professionali ed allo stesso tempo salvaguardare dai possibili attacchi della magistratura le figure responsabili principali quali datore di lavoro, responsabile della sicurezza, dirigenti e preposti?

In questo articolo verrai guidato dalle ultime sentenze della corte di cassazione penale, che rappresenta l’espressione più alta della magistratura, nella giungla applicativa del TESTO UNICO DELLA SICUREZZA al fine di esplicitare le condizioni in assenza delle quali un’azienda, il suo datore di lavoro, principale destinatario delle imputazioni penali in campo sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, e le principali figure di responsabilità, non possono difendersi di fronte alla legge in caso di infortunio o malattia professionale.

Poni la massima attenzione!

Come difendersi dalle responsabilità penali in campo sicurezza: applica i principi contenuti nelle sentenze ed eviterai di sbagliare!

Datori di lavoro, Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione, Dirigenti, Preposti, Consulenti della Sicurezza, Medici Competenti, tutti concordano sul fatto che l’applicazione delle normative contenute nel D.Lgs.81/2008 e s.m.i., Testo Unico Della Sicurezza, siano imprescindibili e necessarie al fine di ridurre il più possibile infortuni e malattie professionali. Eppure, in Italia i numeri relativi al problema sicurezza sono tutt’altro che rassicuranti: circa 607mila infortuni accorsi nel 2013 di cui 740 con esito mortale e oltre 51mila denunce di malattia professionale (fonte “Il sole 24 ore”).

Di chi è la colpa? Chi e cosa cerca la Magistratura al fine di individuare correttamente il vero colpevole dell’accaduto, a maggior ragione se ritiene di essere in presenza di reati quali omicidio colposo e lesione personale colposa commessi con violazione delle norme sulla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro?

Le risposte a queste domande vengono da una fonte autorevole, ovvero dal Prof. Raffaele Guariniello, Magistrato di Cassazione, dal 1992 Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Torino: le sue parole, siano esse espresse nei convegni che presiede piuttosto che contenute nei libri che scrive (“Il Testo Unico Sicurezza Sul Lavoro commentato con la giurisprudenza”, Ipsoa, 2014) sono chiarificatrici ed esprimono la direzione della magistratura.

Innanzitutto, occorre distinguere due grandi aree, o mappe come le chiama lui: la mappa del potere, costituita dai datori di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ovvero da coloro che hanno i poteri decisionali e di spesa e la mappa delle competenze, costituita da RSPP, Medici Competenti, Consulenti, Coordinatori della Sicurezza, ovvero da coloro che hanno la conoscenza tecnica.

Le due mappe sono poi del tutto interconnesse, così come stabilito dalla sentenza della cassazione n.22294 del 29 maggio 2014 dove un DL (Datore di Lavoro) ed un Direttore di stabilimento sono stati condannati per un infortunio mortale di un lavoratore addetto ad un macchinario pericoloso perché l’uno e l’altro erano a conoscenza del pericolo insito nella conformazione del macchinario stesso in quanto il problema era stato debitamente segnalato dal RSPP già prima dell’infortunio.

Che il binomio potere e competenza sia imprescindibile è anche contenuto nel Testo Unico, dove all’ art. 28 comma 2 lettera d) ci impone di definire l’organigramma aziendale della sicurezza definendo i ruoli a cui deve essere affidato il potere di attuare le misure della sicurezza: ruoli che devono possedere le idonee competenze!!

Analizziamo allora le figure ritenute Responsabili dalla Magistratura (DL, Dirigenti/Preposti e RSPP) e come è possibile salvaguardarle.

E’ chiaro che il DL, il vero datore di lavoro, è la figura sulla quale si concentrano tutte le indagini penali: il DL effettivo, però, non quello formale, quello correttamente definito nell’art.2 comma b) del D.Lgs. 81/08 ovvero colui che esercita i poteri decisionali e di spesa nell’ambito dell’organizzazione.

La sentenza della Cassazione n.39158 del 23 settembre 2013 ricorda che la legge non prevede la delega della posizione stessa della funzione di datore di lavoro, questo significa che non è possibile delegare a nessuno la responsabilità della figura, a prescindere dai poteri consegnati e a nessun prezzo. La sentenza n.37738 del 13 settembre 2013 specifica, poi, che il datore di lavoro è quello di fatto non quello di diritto: si può arrivare ad identificare il DL addirittura al di fuori dell’organizzazione lavorativa, per esempio un proprietario aziendale che vive all’ estero. I reati contestati a queste persone che all’ interno dell’azienda non hanno alcuna qualifica, sono proprietari ma formalmente non figurano, sono comunque pesanti: si veda il caso dell’ILVA di Taranto (cassazione 4 aprile 2013 n.15667) dove si parla di omissione dolosa di cautele infortunistiche (437 del c.p.) e di disastro ambientale (doloso o colposo, 434 e 449 del c.p.).

Il DL è caratterizzato, quindi, dai pieni poteri di decisione e di spesa, non limitati da badget decisi da altri!

La tendenza della magistratura è quella di puntare in alto: non si accontenta della figura proposta dall’ azienda come DL, non cerca di incriminare solo l’Amministratore Delegato o il Presidente del CDA: in una società per azioni, sentenza della cassazione n.4968 del 31/01/2014, “gli obblighi inerenti la prevenzione dagli infortuni e l’igiene sul lavoro previsti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione” (questo è il DL in una SPA). Il concetto era già stato espresso anche in un’altra sentenza, n. 49402 del 9/12/2013, dove si affermava che oltre che sul DL, “su tutti i membri del CDA incombe il compito di valutare i rischi per la sicurezza e di individuare le misure di prevenzione e protezione”.

Il problema della individuazione del DL si complica quando una impresa ha più strutture, più stabilimenti, più sedi: dall’art. 2 comma 1 lettera b) del D.Lgs. 81/08, il DL può essere individuato anche nell’ambito di una singola unità produttiva, che è tale se possiede autonomia tecnico funzionale e finanziaria rispetto alla “unità madre”. Una sentenza della 4a Cassazione specifica meglio il concetto di autonomia tecnico funzionale e finanziaria: “l’unità produttiva deve avere una sua fisionomia distinta, presentare un proprio bilancio e poter deliberare in condizioni di relativa indipendenza il riparto delle risorse disponibili operando le scelte operative confacenti le proprie necessità organizzative e produttive”. E’ evidente che secondo la precedente definizione non tutte le sedi distaccate, sia produttive che non, possiedono i requisiti di unità produttiva, da cui deriva l’inquisizione di un solo DL per tutte le sedi.

Una delle difese del DL è quella di ricorrere all’ uso della delega di funzioni: l’art.16 del T.U. prevede la delega per quasi tutti gli obblighi di sicurezza, a meno della Valutazione dei Rischi e della nomina del RSPP. La delega però per essere ritenuta valida deve essere fatta rispettando i requisiti dell’articolo stesso; in particolare,

  • La delega è valida se viene rilasciata a persona avente l’esperienza e la professionalità richieste dalla specifica natura delle funzioni che vengono delegate, infatti la sentenza della cassazione n. 15028 del 01/04/2014 sottolinea che “occorre dimostrare che il delegato sia soggetto in possesso delle necessarie conoscenze tecnico scientifiche in materia di sicurezza sul lavoro e dotato di particolare esperienza nella organizzazione dei presidi antinfortunistici”. La dimostrazione presuppone la presenza di una prova (documentale ufficiale) altrimenti la delega non è valida!
  • La delega è valida se è specifica, ovvero deve contenere i poteri e non le responsabilità (che sono compito della magistratura): organizzazione, gestione, disponibilità finanziaria (sentenza c.c. 37749 del 2013) e deve affrontare il problema della concessione del potere di sospensione dell’attività (quando è necessario sospendere l’attività per la presenza di quali rischi? Come deve avvenire la sospensione? Con che modalità? ecc. ). Un esempio classico è la rilevazione da parte dell’organo di vigilanza di una mancanza e la richiesta di mettere a posto l’attività in un tempo definito: non si può continuare a lavorare, si passa dalla colpa al dolo, ovvero omissione dolosa di attività antinfortunistiche.
Sicurezza sul lavoro. Photo credit: Voltamax by pixabay

La correttezza della delega non basta ad esimere il DL dai suoi obblighi: occorre vigilare sul proprio delegato (art.16 comma 3 del T.U.). Per verificare questo obbligo la Magistratura può adottare due strade, a seconda della complessità aziendale:

  1. In una piccola azienda, dove il DL conosce tutte le attività aziendali, se la violazione può essere ricondotta ad una prassi non risulta esimente dalle responsabilità dichiarare di non conoscere questa prassi. Chiaramente non è un criterio univoco ed oggettivo, basti pensare al CDA di una SpA: è ragionevole che i membri dello stesso possano conoscere tutte le prassi aziendali? Certamente no!
  2. In una azienda più strutturata, la sentenza di c.c. n.15028 del 01/04/2014 ha individuato un criterio dove si dice che “la vigilanza deve riguardare la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato, individuando degli indicatori della sicurezza da controllare”. Alcuni di questi indicatori potrebbero essere il numero degli infortuni, le malattie professionali (numero, gravità, dinamica), la tempestività di comunicazione delle prescrizioni impartite dall’ organo di vigilanza, i giudizi rilasciati dal medico competente, le relazioni periodiche del rspp e del MC. Infatti, nella sentenza di c.c. n.9505 del 27/02/2013 il DL è stato condannato per infortunio mortale in presenza di delega perché tre mesi prima dell’infortunio ne era accaduto un altro identico: questo rafforza i concetti di vigilanza, acquisizione ed elaborazione dei dati al fine di garantire l’adeguatezza dello scopo della delega.

La delega è utile al DL per esonerarsi da responsabilità ma non è necessaria per fondare la responsabilità del Dirigente e del Preposto. Oltre a parlare di DL di fatto, si parla anche di Dirigente/Preposto di fatto ovvero di coloro che esercitano concretamente i poteri giuridici del dirigente o del preposto: non occorre accettare o meno la delega perché come dirigente o preposto ci si deve occupare di sicurezza sul lavoro e come tali si può essere imputati e condannati. L’esempio lampante è riportato nella sentenza n.22246 del 29/05/2014 dove viene condannato per un infortunio il preposto che concretamente (di fatto) espletava la carica pur senza averne ricevuto l’investitura (non vale come giustificativo): vale il principio di effettività.

E’ importante ricordare che la delega non può essere fatta al lavoratore che è e deve rimanere il beneficiario delle azioni di tutela. Tali azioni hanno il loro fondamento in uno degli aspetti più importanti, su cui si fonda l’intero T.U., e non delegabili da parte del DL: la valutazione dei rischi.

Non è sicuramente questa la sede per affrontare la complessità della valutazione e del documento che ne contiene i risultati (la relazione), ma è utile ricordare che la valutazione dei rischi deve essere effettuata per tutti i rischi ragionevolmente prevedibili (sentenza della c.c. n.25213 del 13/06/2014): tale supposto va ricercato per esempio nella storia dell’azienda, negli infortuni occorsi o in quelli di settori analoghi. Alla omessa valutazione (rischio non valutato) è equiparata la valutazione insufficiente, inadeguata, incompleta. A tal proposito è necessario elencare quei rischi che vengono a torto trascurati ma che divengono importanti se finalizziamo la valutazione alla difesa delle parti in gioco:

  • Rischio alcool e droga, con obblighi di sorveglianza sanitaria e di controlli dell’alcolemia e delle sostanze stupefacenti almeno per le mansioni contenute nell’ allegato I dell’Accordo Stato Regioni del 2006 per l’alcool e del 2007 per le sostanze stupefacenti;
  • Rischio di incidente stradale, si ricorda la sentenza n.38129 del 17/09/2013 dove un autista, su richiesta da parte del DL a trasportare dei materiali con un furgone, in una strada in discesa piena di curve non riesce a frenare perché il sistema frenante è difettoso: il DL viene condannato perché l’attrezzatura di lavoro non era in condizioni di efficienza.
  • Rischi derivanti dall’ utilizzo ragionevole dell’attrezzatura di lavoro;
  • Ritmi lavorativi, nella sentenza della c.c. n.7956 del 19/02/2014 il DL è condannato per elevata intensità dei ritmi di lavoro;
  • Sovraccarico di lavoro.

Uno dei grandi passi avanti fatto dal T.U. è quello di considerare il lavoratore come un soggetto di prevenzione, cioè creditore e debitore di sicurezza: all’art.20 sono richiamati tutti gli obblighi del lavoratore, tra cui prendersi cura della propria e dell’altrui incolumità, ma…e questo è un grande ma… conformemente alla formazione ricevuta: occorre scongiurare che il comportamento incauto del lavoratore sia frutto di carenza di formazione. Da questi assunti nasce la necessità di effettuare una verifica della formazione ricevuta (verifica dell’apprendimento), nei modi ritenuti opportuni dalla organizzazione aziendale ma con la finalità di consegnare l’idoneità al lavoro al dipendente che dimostra di aver compreso le regole (procedure, modalità operative, ecc.) della propria mansione. Oltre alla verifica iniziale, la sentenza della c.c. n.38129 del 17/09/2013 parla anche di verifica quotidiana (vigilanza) del mantenimento della capacità sempre a carico del D.L. e del Dirigente (art.18 comma 1 lettera C del T.U.).

L’altro grande pilastro del sistema antinfortunistico aziendale è costituito da chi detiene la mappa delle competenze ovvero dal sistema di prevenzione e protezione e dal suo responsabile (RSPP). Il suo ruolo però, per essere del tutto efficace, deve possedere le seguenti specifiche:

  • L’RSPP non deve mai autocensurarsi, deve pensare solo alla sicurezza ed alla prevenzione, mai ai costi che occorre sostenere perché la ricerca della responsabilità penale dell’RSPP è diventata ormai una linea guida della prassi giuridica;
  • L’RSPP deve essere una unità organizzata con mezzi, persone, strumenti. Il datore di lavoro deve rendere efficiente il servizio di prevenzione come si è visto nella sentenza della c.c. n.29770 del 20/06/2013 dove viene condannato l’A.D. per mancata applicazione dei presidi di sicurezza che discende dal non aver consentito all’ RSPP pur nominato di svolgere con effettività il servizio;
  • L’RSPP non deve svolgere compiti di vigilanza ma avvertire i diretti responsabili quali preposti e/o dirigenti, altrimenti viene accusato anche per ciò che non gli compete.

L’atto di nomina dell’RSPP non è un atto di delega (sentenza della c.c. n.20682 del 21/05/2014) ovvero con cui il DL trasferisce delle responsabilità, ma risponde penalmente quando non compie il suo dovere di informare o omette di segnalare situazioni di rischio che ha l’obbligo di conoscere (conoscere ragionevolmente utilizzando la prudenza, la perizia, la regola dell’arte): nella sentenza del 23/09/2013 n.39158, l’RSPP viene condannato per il mancato funzionamento di un microinterruttore che ha causato la morte di un lavoratore perché di tale fatto era stato informato il giorno prima.

La maggior parte delle sentenze riportate in questo articolo avrebbero perso almeno parte dei loro capi di imputazione, soprattutto quelli relativi alla vigilanza, se il DL avesse adottato e correttamente mantenuto (art.30 del T.U.) un sistema di organizzazione e controllo della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro. Chiaramente non un sistema qualsiasi ma quello adeguato alla realtà aziendale e che se messo in atto possa garantire la riduzione se non l’eliminazione degli infortuni e delle malattie professionali che potrebbero coinvolgere i lavoratori.

Una linea guida efficace per tale sistema è contenuta nel D.M. 13/02/2014 “Procedure semplificate per l’adozione dei modelli di organizzazione e gestione nelle piccole e medie imprese” che può essere considerato senza dubbio uno dei decreti chiave per aiutare il DL nella predisposizione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tale modello organizzativo (art. 30, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 81/2008 e s.m.i.,) riporta indicazioni gestionali semplificate, di natura operativa, utili alla predisposizione e alla efficace attuazione di un sistema aziendale idoneo a prevenire le conseguenze dei reati previsti dall’art. 25-septies, del decreto legislativo n. 231/2001.

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