Il matrimonio come una volta. Lei che scende da casa, tra gli applausi degli amici e dei parenti. E poi a piedi, stretta al braccio del papà, che la sostiene lungo i vicoli in pietra, fino in chiesa, tra gli auguri dei passanti e la musica dal vivo. Una cerimonia intima, in una chiesa medievale, calda e accogliente.
E poi a festeggiare, tutti insieme in un corteo gioioso che si spinge fino alla piccola piazza affacciata sulla vallata; per un aperitivo informale, per gli auguri agli sposi, per i primi balli sulle note di una musica folk che scava nei rivoli della memoria.
Due passi ancora e poi il pranzo, quello che racconta la storia. La storia di un luogo o di una famiglia che ha attraversato i tempi e gli oceani per ritrovarsi a far festa; per condividere con gli ospiti le atmosfere di un paesaggio rurale dell’Appennino italiano, prima abbandonato e poi improvvisamente ritrovato.
E’ la Locanda Sotto gli Archi a far rivivere quei sapori, ad accogliere una ricostruzione che non è solo strutturale, ma anche sociale. È qui che si sono recuperate le vecchie madie, i tavoli restituiti dal tempo, la malta in calce a ricoprire le mura intatte del borgo.
La festa non è formale, non conosce i ritmi scanditi da una scaletta; è istintiva, intima e personale. Si snoda tra le botteghe artigiane addossate le une alle altre, dove intrattenere i curiosi. Si sviluppa nella Tisaneria o nel Cantinone, dove si balla e si suona.
Qui si raccontano emozioni, sorseggiando infusi di erbe montane o liquori che scaldano il sangue e l’anima; si assaggiano dolci; si taglia la torta e si continua a far festa fino a che si hanno le forze. Al termine della giornata non si salutano gli ospiti. Con loro solo il congedo che si riserva agli amici per una notte di ristoro, tra le stanze di quel borgo che è diventato il primo esempio italiano di Albergo Diffuso.
Perché domani mattina ci si ritrova. La festa continua con la colazione e poi nel relax che ci si concede, coccolati da un sottofondo new age, dalle essenze degli oli profumati, dalla luce delle candele che rigenerano corpo e mente. Perché un matrimonio a Sextantio Santo Stefano di Sessanio non necessita di una location: l’intero borgo è la location.
Così si celebra una terra legata alla sua gente e ai suoi gesti secolari, tanto da saperli raccontare in ogni angolo, in ogni tavolo intagliato, in ogni nicchia nei muri, in ogni pietra delle case. Un patrimonio umano e culturale che non si è mai disperso, pur sapendosi rinnovare e raccontare con sfumature più ampie, più naturali e rispettose, rievocative ma futuribili.
Una storia che ha invertito il suo corso di abbandono ed emigrazione grazie all’intervento umano, economico ed emotivo di Daniele Kihlgren. Figlio di una ricca famiglia italo-svedese, Daniel si è innamorato di Santo Stefano di Sessanio, tanto da investire il suo intero patrimonio nel recupero di questo borgo incastonato tra le montagne dell’Appennino abruzzese.
Un inedito progetto di Restauro Conservativo del Patrimonio Minore, quello dimenticato e decaduto, che ha saputo rimettere in gioco delicate suggestioni affettive, attraverso il recupero dei materiali da costruzione, delle trame dei tessuti, degli arredi. Addirittura dei piatti e dei prodotti che hanno caratterizzato la gastronomia di quella terra, ritrovati attraverso gli studi commissionati al Museo delle Genti d’Abruzzo. Così nasce l’idea di Sextantio Santo Stefano di Sessanio come albergo diffuso.
Un esempio di efficacia imprenditoriale e di sviluppo ecologico e sostenibile, che hanno definito il ritorno alla vita di un territorio e hanno gettato le basi per ripercorrere l’esperimento anche tra i Sassi di Matera. Ma che speriamo possa essere caposaldo per ispirazioni in altri luoghi dell’Italia dimenticata.
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